Informazioni generali - Un pò di biologia
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L'UOVO I lepidotteri, durante lo sviluppo, subiscono un processo di metamorfosi che comprende, oltre all’uovo, tre stadi: Questi stadi sono tra loro profondamente diversi, dato che il passaggio dall’uno all’altro presuppone un totale riarrangiamento del corpo dell’individuo. La metamorfosiè detta quindi completa e le farfalle sono annoverate tra gli insetti Le uova delle farfalle sono munite di un guscio esterno, il corion, che racchiude e protegge l’embrione in via di sviluppo. Il corion è costituito da cheratina, una proteina fibrosa impermeabile all’acqua e ai gas atmosferici. La sua superficie è solitamente percorsa da costolature più o meno evidenti che formano un’ornamentazione diversa da specie a specie. |
Satyrus actaea - uovo con evidenti costolature. |
Polyommatus hispanus - uovo di forma discoidale. |
Brenthis ino - uovo conico. |
Pieris mannii P- uovo di forma ovoidale. |
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Nonostante la grande variabilità di forma e scultura, le uova delle farfalle appartenenti a una stessa famiglia sono simili tra loro. Le uova possono essere trasparenti o, più comunemente, variamente colorate. Spesso cambiano colore durante la maturazione embrionale: nella pieride Colias crocea - crocea, per esempio, le uova appena deposte sono giallo pallido, durante lo sviluppo dell’embrione assumono un colore arancione intenso per divenire, poco prima della schiusa, rosso carminio. |
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Dopo 80 ore. |
Dopo 150 ore. |
Dopo 216 ore. |
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Il numero di uova deposte dipende dal tipo di strategia adattativa delle diverse specie; può variare da poche decine a quasi 20.000, come tra gli epialidi. Generalmente le femmine depongono le uova una a una o a gruppi, fissandole sulla pianta nutrice delle larve grazie al secreto mucoso di particolari ghiandole dell’apparato riproduttore, che solidifica rapidamente all’aria. In altre specie, a regime alimentare poco specializzato, le uova vengono lasciate cadere dalla femmina in volo, casualmente tra le erbe o la bassa vegetazione; sta poi alla larva ricercare le piante ospiti. È questa la caratteristica di molti satiridi. Le femmine munite di un ovopositore depongono le uova direttamente all’interno dei tessuti vegetali o in crepe e anfratti delle cortecce, proteggendole così sia dai predatori sia dalle intemperie. In molte specie l’embrione subisce un’interruzione dello sviluppo detta diapausa; in tal modo la schiusa viene rimandata anche di qualche mese così da superare i periodi climatici avversi. Alcune foto effettuate al microscopio elettronico a scansione (SEM) permettono di osservare a forte ingrandimento il ‘guscio’ delle uova dei lepidotteri e apprezzarne la morfologia. Il corion è attraversato da numerosi e sottilissimi pori, di cui uno o più sono concentrati sul polo anteriore dell’uovo, nell’area micropilare, ove la superficie corionica assume una caratteristica (e specie-specifica) ornamentazione ‘a rosetta’. Questi pori sono chiamati micropili e costituiscono la via di accesso dello spermatozoo all’atto della fecondazione. Altri pori, gli aeropili, sono più abbondanti e distribuiti uniformemente lungo le sculture del corion; essi permettono gli scambi respiratori all’embrione in via di sviluppo. |
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Papilio machaon - uovo, micropili. |
Limenitis camilla - uovo, aeropilo. |
Maniola jurtina - uovo, aeropili. |
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La larva o bruco è una fase del ciclo vitale dei lepidotteri essenzialmente deputata alla nutrizione e all’accrescimento. Comunemente lo stadio larvale si protrae per 20-30 giorni. Particolare è il caso di quelle specie adattate a superare i periodi critici (rigori invernali, siccità estive, scarsità di nutrimento) in diapausa allo stadio di bruco: l’attività e la crescita cessano e in questo stato di vita latente la larva può trascorrere anche parecchi mesi. Una volta schiusa, la larva divora innanzitutto il corion del proprio uovo, il quale le fornisce una prima fonte di energia. Inoltre, cibandosi del corion, la larva assume non solo sostanze nutritive, ma, si pensa, anche microrganismi utili alla sua sopravvivenza (simbionti del tratto digestivo, e così via). Alcuni, detti monofagi, dipendono strettamente da una sola specie vegetale: è il caso della licenide Iolana iolas - iolana, che si nutre esclusivamente dei semi della leguminosa Colutea arborescens - la vesicaria. Altri, gli oligofagi, sono legati a diverse piante appartenenti però allo stesso genere o alla stessa famiglia. Per esempio, Pieris rapae - la rapaiola, appetisce quasi tutti i generi delle crocifere. Altri ancora, detti polifagi, hanno una dieta più varia, cibandosi di svariatissime specie di piante. |
Scolitantides orion- schiusa di uovo. |
Scolitantides orion - schiusa di uovo. |
Scolitantides orion - schiusa di uovo. |
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Soprattutto tra le larve dei microlepidotteri sono comuni i casi di adattamento a cibarsi di sostanze di origine vegetale, ma più o meno elaborate: sementi, frutta e funghi secchi, biscotti, carta, legno marcescente, tessuti. Altri lepidotteri, come alcuni tineidi e piralidi (le comuni tignole), durante lo stadio larvale si cibano di sostanze di origine animale: indumenti di lana, pelli e pellicce, piume. Esistono anche bruchi carnivori e predatori: molte falene asiatiche del genere Eublemma (famiglia Noctuidae) cacciano e divorano cocciniglie; alcuni geometridi delle Isole Hawaii (genere Eupithecia) predano ditteri; molte licenidi si nutrono prevalentemente di afidi. In quest’ultimo caso è particolarmente interessante il comportamento di quelle specie definite mirmecofile perchè interagiscono, in vario modo e grado, con le formiche. I bruchi delle farfalle mimercofile sono provvisti, sugli ultimi segmenti addominali, di organi tentacolari, estroflettibili; tali tentacoli sono collegati a strutture ghiandolari specializzate che emettono secrezioni zuccherine simili a quelle prodotte dagli afidi e, dunque, gradite alle formiche. La presenza di queste larve, nonostante le loro abitudini predatorie, viene tollerata nelle colonie di afidi allevati dalle formiche. In alcuni casi (genere Maculinea) i bruchi sono adottati dalle stesse operaie e trasportati nel formicaio per poter disporre direttamente degli essudati zuccherini; nel contempo il bruco si accresce nutrendosi delle larve delle sue ospiti, comportandosi come un vero parassita.
Secondo le famiglie e le specie, le larve possono differire anche notevolmente nell’aspetto, pur ricalcando, esternamente e internamente, la medesima organizzazione generale. La morfologia più comune dei bruchi è quella eruciforme; in alcuni casi, però, essa può modificarsi variamente: Esternamente il bruco è rivestito da un tegumento i cui principali costituenti sono chitina e sclerotina, sostanze che gli conferiscono rigidità e inestensibilità. L’accrescimento non può dunque essere continuo, ma deve andare incontro a periodiche mute, durante le quali viene sostituita e ingrandita l’intera cuticola. Quando la larva è giunta a maturazione, l’ultima muta conduce allo stadio di pupa o crisalide. Spesso il rivestimento cuticolare è complicato dalla presenza di tubercoli, corni, processi ramificati (scoli), tentacoli, che conferiscono al bruco doti mimetiche o repulsive nei confronti di predatori e parassitoidi. Questi ultimi non uccidono subito la vittima, come invece è costume dei predatori (vertebrati insettivori, aracnidi, numerosi insetti), ma ne sfruttano a lungo le risorse corporee prima di portarla alla morte.
Comuni parassitoidi delle larve di lepidotteri sono i ditteri tachinidi e gli imenotteri icneumonidi, braconidi e calcididi. Le femmine di questi insetti depongono le proprie uova o sul tegumento dei bruchi o direttamente all’interno delle loro carni, per mezzo di un lungo ovopositore. Le larve che ne fuoriescono vivono all’interno dell’ospite, non cibandosi degli organi vitali ma quasi unicamente dei tessuti adiposi della vittima, che può quindi continuare a vivere e ad alimentarsi. Al termine dello sviluppo, le larve dei parassitoidi divorano quasi completamente gli organi interni dell’ospite e si impupano o all’interno del suo involucro corporeo ormai vuoto o all’esterno, sul suo tegumento. Dopo pochi giorni s’involeranno gli adulti. Scopo difensivo potrebbe avere la vistosa estroflessione dell’osmeterium nelle larve dei papilionidi. Questa particolare struttura vivacemente colorata, che è un’invaginazione a forma di Y del tegumento dorsale del protorace, viene infatti ‘gonfiata’ ed estroflessa in caso di pericolo ed emette un liquido dall’odore penetrante e sgradevole per l’aggressore. È tuttavia possibile che l’osmeterium funga anche da organo di stoccaggio ed escrezione delle eventuali sostanze tossiche ingerite dal bruco con l’alimentazione. Il tegumento delle larve, più o meno colorato, mostra sempre un numero variabile di setole e peli. Le setole a funzione sensoriale sono definite primarie e hanno una distribuzione geneticamente fissata fin dal primo stadio larvale. Altre setole possono avere invece proprietà urticanti, come nel caso delle note larve delle processionarie.
Il capo della larva è formato da una capsula cefalica globosa costituita dall’unione di due porzioni emisferiche sclerotizzate, dette placche epicraniali. Porta un paio di brevi antenne munite di setole sensoriali e, su ogni lato, sei piccoli occhi semplici – gli ocelli – che permettono alla larva una visione rudimentale degli oggetti. L’armatura boccale masticatrice è robusta e composta da labbro superiore (o labrum), un paio di mandibole tozze e denticolate, palpi mascellari, mascelle parzialmente fuse con il labbro inferiore (o labium) e palpi labiali. Il labium porta una struttura mediana allungata – la filiera – atta a ‘filare’ la seta secreta dalle ghiandole serigene. In molte specie di farfalle il filo di seta, i cui costituenti sono due proteine, la fibroina e la sericina, serve a tessere il bozzolo entro cui la larva trascorrerà lo stadio di pupa. Altre specie usano la seta per realizzare una sorta di cintura o piccoli batuffoli con cui il bruco ormai maturo si lega o si sospende a un supporto prima di diventare crisalide. |
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Papilio machaon
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L’addome è costituito da dieci segmenti, detti uriti. È munito generalmente di cinque paia di false zampe, cioè appendici carnose non articolate. Quattro paia, le zampe ventrali, originano rispettivamente dal 3°, 4°, 5° e 6° urite; l’ultima coppia, posizionata all’estremità posteriore del corpo, costituisce le cosiddette zampe anali. Ciascuna falsa zampa termina con una suola piana circondata da una o più file di piccoli uncini. La locomozione della larva è assicurata dalle vere zampe, mentre le false zampe hanno piuttosto una funzione di sostegno e ancoraggio del corpo sul substrato.
Spesso i fili di seta sono impiegati come aiuto e punti di riferimento durante la locomozione. Infatti, mentre avanza, la larva deposita lungo il cammino un ‘tappeto’ di fili di seta muovendo il capo in modo ondulatorio, sul quale fanno presa sicura le zampe. |
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L’organizzazione interna file:///Users/giovanni/Documents/FARFALLE/Farfalle/disegni/bnervi.GIF L’organizzazione interna dei bruchi è piuttosto semplice rispetto a quella dell’insetto adulto. Il sistema nervoso (evidenziato in verde), in posizione ventrale, è costituito da una serie di gangli, di cui i più cefalici sono il ganglio cerebroide, deputato all’innervazione delle antenne e degli ocelli, e il ganglio sottoesofageo, che innerva le parti boccali. L’apparato digerente (evidenziato in marron) è molto sviluppato; alla cavità boccale e all’esofago segue un intestino rettilineo suddiviso in tre parti: anteriore, media e posteriore. La più ampia è la porzione mediana ove si concentra l’assorbimento delle sostanze nutritizie ingerite con gli alimenti. Nell’intestino posteriore, prima dell’orifizio anale, si aprono i tubuli malpighiani dell’apparato escretore (evidenziato in azzurro). La ghiandola serigena (evidenziata in giallo) è deputata alla produzione della seta. L’apparato circolatorio (evidenziato in rosso) è costituito da un vaso dorsale, addominale, con funzione cardiaca, che si continua, nelle zone toracica e cefalica, con l’aorta. L’apparato riproduttore (evidenziato in viola) nella larva è solo accennato; è posizionato a livello del 5° segmento addominale accollato al vaso sanguigno dorsale. L’apparato respiratorio (evidenziato in blu) comunica con l’esterno attraverso nove paia di stigmi posizionati sui lati del torace e dell’addome. Ciascuno stigma è collegato internamente con numerosissime trachee ramificate che trasportano i gas respiratori a tutto l’organismo. |
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In generale si può dire che la pupa (o crisalide) è uno stadio del ciclo vitale delle farfalle caratterizzato dalla immobilità esteriore e, nel contempo, da complessi fenomeni di riarrangiamento interno, che trasformano i tessuti e gli organi larvali nelle strutture tipiche dell’insetto adulto pronto allo sfarfallamento. Solo dopo aver scelto un luogo ben riparato ove impuparsi (la fenditura di una corteccia, una piccola nicchia sotto un sasso, una foglia accartocciata) il bruco maturo effettua l’ultima muta che lo condurrà allo stadio di pupa. Le larve di alcune famiglie di farfalle, come le sfingidi, scavano una celletta sotterranea che proteggerà le crisalidi da parassiti e intemperie, altre si impupano libere nella lettiera ai piedi della pianta nutrice, altre ancora giacciono sospese a un qualsiasi supporto. Le pupe sono rivestite da un tegumento chitinoso inestensibile, spesso complicato dalla presenza di tubercoli o spine. Tipicamente il corpo è suddiviso in capo, torace e addome e presenta appendici di conformazione già simile a quella dell’adulto, nonché un abbozzo più o meno visibile di ali. Secondo il modo in cui il tegumento riveste le appendici, le pupe si distinguono in exarate od obtecte. Le prime possiedono antenne, mandibole, zampe e ali libere, rivestite singolarmente da un astuccio cuticolare protettivo. Esse sono tipiche delle famiglie di lepidotteri più primitive (Eriocraniidae, Micropterigidae, Incurvariidae) e sono definite dectiche se possiedono mandibole mobili e adectiche se possiedono invece mandibole immobili. Viceversa, le crisalidi obtecte presentano gli abbozzi delle appendici saldati al capo e ricoperti da un’unica membrana tegumentaria. Le crisalidi della maggioranza delle farfalle e falene sono di tipo obtecto, a volte con qualche modifica al piano morfologico generale: in alcune sfingi, ad esempio, la spiritromba non è saldata al capo come tutte le altre appendici, ma è libera e rivestita da una propria cuticola.
All’estremità dell’addome di tutte le pupe sospese vi è inoltre una particolare struttura denominata cremaster, dotata di spine e minutissimi uncini. Questo ‘velcro’ ante litteram serve ad assicurare un eccellente ancoraggio della crisalide al batuffolo di seta che la sorregge. La pupa non si alimenta, né ha funzionante l’apparato escretore. Le aperture anali e genitali sono chiuse.
La respirazione avviene attraverso gli stigmi, collocati in posizione analoga a quella della larva. I movimenti sono limitati a rapidi contorcimenti dell’addome, utilizzati sia a scopo difensivo sia per sistemarsi e rimanere in posizione. La durata della fase di pupa è variabile da specie a specie, e si può protrarre da pochi giorni ad alcuni mesi. La pupa spesso è soggetta a un periodo di diapausa, cioè a una sorta di vita latente in cui tutte le funzioni corporee sono ridotte al minimo, che le permette di superare i rigori del periodo invernale o le eccessive calure estive.
Nei lepidotteri ditrisi (Ditrisya) il sesso delle pupe può essere agevolmente desunto dalla diversa posizione degli abbozzi delle aperture genitali sui segmenti dell’addome: il maschio possiede una sorta di piccola cicatrice tondeggiante od ovalare a livello del 9° segmento; la femmina, invece, ne presenta due, una sull’8° e l’altra sul 9° urite. In entrambi i sessi, sull’ultimo segmento dell’addome è posizionato l’abbozzo dell’apertura anale. |
Colias crocea - sfarfallamento. |
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Il rivestimento chitinoso della pupa viene lacerato antero-ventralmente, in seguito all’ingrossarsi delle regioni cefalica e toracica dovuto all’aumentata pressione dei liquidi interni e alla forte spinta operata dalle zampe dell’adulto. L’addome, poi, si contrae ritmicamente e aiuta l’insetto a fuoriuscire dall’esuvia. Il tutto dura una manciata di minuti. Una volta libera, la neo-farfalla sale su un filo d’erba o un ramo o una foglia e pompa l’emolinfa nelle venature delle ali, in modo da espandere le membrane alari tenute strettamente ripiegate su se stesse durante la ninfosi. Ad ali interamente spiegate, segue un periodo di immobilità durante il quale esse si sclerotizzano e si induriscono per permettere il volo. A questo punto la farfalla elimina alcune gocce di un liquido rossastro, il meconio, che è costituito dagli escrementi accumulati durante lo stadio di crisalide e che solo ora vengono rilasciati. A tale evento sono ricollegabili le antiche leggende della ‘pioggia di sangue’ concomitante con i grandi sfarfallamenti di alcune specie di farfalle. Subito dopo, avviene l’involo. |
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Non possedendo uno scheletro interno, il corpo dei lepidotteri è sorretto da un robusto rivestimento esterno (l’esoscheletro) costituito da una cuticola chitinosa pluristratificata. Come tutti gli insetti, le farfalle sono organismi metamerici, cioè con il corpo formato da una successione di segmenti simili tra loro, detti metameri. Essi possono essere riuniti in tre differenti regioni anatomiche:
Il capo è piccolo e di forma globosa.
Porta, oltre l’apparato boccale, due grandi occhi composti e spesso anche due o più occhi semplici:
Sul capo è collocata una coppia di antenne articolate che possono assumere foggia e lunghezza diverse da specie a specie o, all’interno della stessa specie, da maschio a femmina:
L’apparato boccale dei lepidotteri adulti è di tipo succhiatore, a differenza delle larve che ne posseggono uno di tipo masticatorio. Quest’ultimo permane, come eccezione, negli adulti dei Micropterigidi, un antico e ristretto gruppo di lepidotteri. In generale, dunque, il labbro superiore, o labrum, è ridotto, mentre il labbro inferiore, o labium, forma una sottile lamina che reca i due palpi labiali, appendici articolate a funzione sensoriale, probabilmente gustativa. Le mandibole sono rudimentali, perdendo ogni funzione alimentare. Assumono invece grande importanza le galee, cioè i lobi distali delle mascelle, che si allungano e si accollano l’un l’altro a formare una sorta di tubicino, la spiritromba o proboscide. Con questa vera e propria ‘cannuccia’, che a riposo viene tenuta avvolta a spirale sotto il capo, i lepidotteri suggono il nettare dei fiori, il succo della frutta matura, l’acqua, i liquidi prodotti da sostanze in decomposizione, la linfa di molte piante. In alcune famiglie di falene la spiritromba può modificarsi o ridursi sino all’atrofia: e in questo caso l’adulto non si alimenta, la sua vita riducendosi a poche ore. Viceversa, gli sfingidi sono noti per possedere una proboscide lunghissima (in alcune specie può arrivare a 30 centimetri!),
Il torace dei lepidotteri, come quello di tutti gli insetti, è formato dall’unione di tre segmenti: protorace, mesotorace e metatorace. Su ciascuno di essi si articola una delle tre coppie di zampe, mentre le ali si inseriscono, un paio per segmento, a livello del meso e del metatorace. Il torace è rivestito da un esoscheletro composto da diverse placche chitinose. Dorsalmente si distinguono i tergiti, sui lati i pleuriti e ventralmente gli sterniti. Il primo segmento toracico (protorace) è generalmente ridotto; porta due piccole espansioni tondeggianti, dette patagia, che vengono interpretate come rudimenti di antiche ali. Anche il mesotorace presenta un paio di espansioni dorso-laterali, le tegulae, che sono mobili e vanno a ricoprire l’inserzione delle ali anteriori. Tipicamente le farfalle possiedono sei zampe mobili, sebbene in alcune famiglie siano evidenti fenomeni di regressione (zampe anteriori dei maschi di licenidi, riodinidi e libiteidi) o rudimentazione (zampe anteriori di ninfalidi e satiridi). In casi estremi queste appendici possono mancare del tutto, come nel caso delle femmine apode e attere di certi psichidi. Ogni zampa è costituita da cinque parti tra loro articolate: coxa, che prende contatto col torace, trocantere, femore, tibia e tarso. Spesso la tibia delle zampe anteriori è munita di una spina (l’epifisi) che viene utilizzata dalla farfalla per la pulizia delle antenne e dell’apparato boccale. Invece le tibie delle zampe mediane e posteriori portano, rispettivamente, una e due coppie di lunghe spine dette speroni. Il tarso è composto da cinque tarsomeri, il più distale dei quali termina con due unghie ricurve, semplici o bifide, e con una complicata struttura chiamata empodium. Essa è costituita da un lobo carnoso mediano, l’arolium, e da due lobi laterali, i pulvilli, tutti e tre con la superficie ricoperta da numerosissimi sensilli, organi chemiorecettori foggiati a mo’ di microscopiche spine. Le zampe, infatti, non vengono utilizzate solo per camminare o sospendersi a sostegni grazie alle robuste unghie, ma sono anche veri e propri organi di senso con cui i lepidotteri percepiscono gli stimoli tattili e olfattivi: L’addome dei lepidotteri è fusiforme e costituito da dieci segmenti (uriti): i primi otto liberi, gli ultimi due modificati e in parte fusi tra loro a costituire gli organi genitali esterni. Ogni urite non modificato comprende un tergite dorsale, uno sternite ventrale e due pleuriti membranosi laterali che portano le aperture stigmatiche. Gli stigmi, un paio per segmento, sono minuscoli orifizi che permettono l’ingresso dell’aria nel sistema respiratorio tracheale. In alcune famiglie, lungo l’addome sono collocati degli organi timpanali, cioè una sorta di membrane timpaniche, in grado di percepire i vocalizzi emessi dai predatori, ad esempio i pipistrelli nel caso delle falene.
Il sistema nervoso centrale è costituito da un cervello e da un ganglio sottoesofageo, detto anche gnatocerebro, collegati tra loro da un cingolo periesofageo. Esiste poi un sistema nervoso viscerale che comprende una lunga catena gangliare che attraversa torace e addome. I gangli periferici sono dotati di elevata autonomia tanto che, nel corso di esperimenti di fisiologia, lepidotteri decapitati sono stati in grado di svolgere le funzioni vitali anche per diversi giorni. La porzione anteriore del canale alimentare (lo stomodeo) è caratterizzata dalla presenza di una faringe muscolare che funziona come una pompa, con cui vengono aspirati i liquidi nutritizi attraverso la spiritromba. L’esofago è lungo, attraversa il torace e si continua con l’intestino medio. Assai spesso si dilata in un diverticolo, l’ingluvie, sede di stoccaggio di sostanze alimentari o di aria per aiutare il volo. L’intestino medio, detto anche mesenteron, è piuttosto corto, privo di diverticoli e prosegue nell’intestino posteriore, o proctodeo. Questo ha un aspetto I lepidotteri possiedono numerose strutture ghiandolari sia esocrine sia endocrine. Tra le prime, particolarmente sviluppate sono le ghiandole salivari, le ghiandole del tegumento – quest’ultime a funzione prevalentemente odorifera – e quelle annesse all’apparato riproduttore. Tra le endocrine, primaria importanza rivestono i corpi cardiaci e i corpi allati, situati in posizione retrocerebrale, e le ghiandole protoraciche esclusive delle larve: le interazioni tra gli ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine regolano, tra l’altro, le mute e il passaggio ai differenti stadi del ciclo vitale.
L’apparato escretore è costituito da sei tubuli di Malpighi che, tre per lato, si aprono in dotti comuni lungo il canale intestinale.
Come già ricordato, sui lati del corpo dei lepidotteri esistono alcune piccole aperture dette stigmi (due toracici e sei-otto addominali), dalle quali passa l’aria che poi viene incanalata nell’apparato respiratorio. Esso è costituito da una fitta rete di tubuli (le trachee) che serve al trasporto dei gas respiratori verso i vari distretti dell’organismo.
L’apparato circolatorio non è interamente vascolare. Il cuore è un vaso pulsante dorsale che percorre l’addome e anteriormente si prolunga nell’aorta. Generalmente esistono altri due organi contrattili che contribuiscono alla circolazione dell’emolinfa (il sangue degli insetti) nelle diverse cavità del corpo.
L’apparato riproduttore comprende, oltre agli apparati genitali esterni, ovari per la femmina e testicoli per il maschio. La struttura dei genitali esterni è piuttosto complicata e viene utilizzata dagli entomologi quale carattere tassonomico. Spesso, infatti, l’analisi al microscopio dei genitali (soprattutto di quelli maschili) permette di separare con certezza specie dalla morfologia assai simile. Le armature genitali maschili sono costituite da una serie di strutture chitinose, derivate dalla profonda modificazione degli ultimi segmenti dell’addome. La loro funzione sembra essere quella di cingere fermamente l’estremità addominale della femmina durante l’accoppiamento. In particolare, il 9º urite si presenta di foggia varia, anche se il più delle volte risulta composto da un tegmen (volta, copertura) dorsale (è il 9º tergite) e da uno sclerite ventrale modificato; queste due strutture sono poi collegate tra loro da due bretelle laterali, dette cingula (cinture). Due ampie appendici pari si articolano lateralmente al 9º urite: sono le valve. La parte terminale di ciascuna valva è molto sviluppata in alcune esperidi, ove assume una caratteristica forma a semicerchio e il nome di cuiller (cucchiaio). Nelle ninfalidi del genere Melitaea, invece, il bordo posteriore delle valve si prolunga in piccoli cornetti o spine, denominate processi posteriori o apofisi terminali. Il 10º urite possiede anch’esso un tergite modificato, detto uncus (uncino), che prende contatto, anteriormente, col tegmen. L’uncus può essere impari o diviso in due lobi, come in molte licenidi, e recare spesso dei processi allungati e arcuati, uno per lato, chiamati brachia (braccia) nelle Satyridae. Il 10º sternite è rappresentato dalle cosiddette apofisi laterali, di collocazione e forma assai variabili: nelle licenidi esse prendono il nome di falces (falci), data la caratteristica forma a mezza luna. Il pene o edeago, infine, ha la forma di un tubicino chitinoso, munito di parti membranose estroflettibili. Esso è tenuto in posizione da placchette chitinose di sostegno. Mentre i genitali maschili mostrano in tutti i lepidotteri una certa omogeneità strutturale, quelli femminili si diversificano, tanto da poter essere compresi in tre modelli strutturali secondo i rapporti anatomici che intercorrono tra le aperture anale, di deposizione (ostium oviducti) e della copula (ostium bursae). Nel modello più primitivo esiste una cloaca che riceve gli sbocchi degli orifizi genitali e dell’intestino. Nel tipo monotrisio esiste un’unica apertura genitale, utilizzata sia per la copula sia per l’ovideposizione. Nel tipo ditrisio le aperture genitali sono due: l’ostium bursae si apre sul settimo od ottavo segmento addominale e l’ostium oviducti sfocia nel nono. Nelle femmine di alcune famiglie è inoltre presente un ovodepositore, spesso così robusto da riuscire a penetrare nei tessuti vegetali, all’interno
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